Il re s'era deciso d'entrare in Milano, onde sottrarsi, così diceva, al pericolo d'un attacco improvviso: abitava nel centro della città il palazzo Greppi, posto sulla Corsia del Giardino: quella stessa notte gran parte delle truppe, abbandonato il loro posto, erano entrate in Milano: lo si seppe più tardi. Era giorno, e il cannone non si faceva ancor sentire: dimandavano ognuno spiegazione d'una quiete sì prolungata: taluno diceva, che avrebbero aspettato il mezzo giorno per attaccare. Infine vaghe voci cominciarono a circolare - il re avere capitolato! Non vollero dapprima crederle i milanesi. Due infelici, che primi ne avevan portata la nuova, furono massacrati a furor di popolo sulla Piazza dei Mercanti: si credevano austriaci travestiti venuti a bella posta per seminar discordie fra il popolo e l'armata. Ma ben presto si moltiplicaron le voci: a mille a mille le ripeterono: cadde il velo: la verità fu in luce. Una sorte tanto più orribile, quanto inevitabile, era riserbata alla città di Milano. Le truppe piemontesi stavano per partire: una gran parte di già in marcia; i nostri capi sì del civile, che del militare fuggiti, o a seguire il re preparati; restava il popolo abbandonato -solo - consegnato nelle mani del Radetzky e dei suoi soldati! Lo stesso giorno, alle sei di sera, dovevano entrare gli Austriaci. Non mi fermerò a descrivere qual fosse la costernazione d'un popolo, al quale si toglieva la vittoria pria della pugna: n'andavamo pazzi pel dolore: piangevano gli uomini, nascondendo tra le mani il volto: più abituate al pianto le donne, più timide, e della lagrima meno vergognose, correvano disperate di strada in istrada: strida mandavan d'orrore.
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