Vidi io stessa al tristo annunzio cader morto un vecchio: la terra fu rossa del suo sangue. Suoni sì strani mi feriron l'orecchio, vidi allora cose, che nel delirio della febbre nulla di simile m'avea mai presentato l'alterata immaginazione. Finalmente la rabbia successe alla disperazione. Irritata la folla si porta al palazzo Greppi, decisa d'impedire la fuga del re, determinata a fargli stracciare l'infame capitolazione. Un battaglione di carabinieri a cavallo, che vi stava a difesa, all'avvicinarsi di quella massa riceve ordine di ritirarsi, onde non esacerbare di più gli animi inaspriti. In un istante si rovesciano gli equipaggi del re: si fan le barricate: si accerchia, s'invade il palazzo: una deputazione della guardia nazionale interroga Carlo Alberto sul fatto della capitolazione. Egli lo nega: allora gli è forza seguire suo malgrado quei deputati al balcone, di là arringa il popolo, scusa la sua inscienza dei veri sentimenti dei milanesi: si dice soddisfatto in vederli sì pronti alla difesa: solennemente promette di battersi alla loro testa sino all'ultimo sangue. Qualche colpo di fucile partì contro Carlo Alberto. Alle ultime parole della sua arringa il popolo sdegnato grida «Se la è così, lacerate la capitolazione.» Il re trae allora un pezzo di carta di saccoccia, lo tiene in sospeso, sicchè il popolo lo veda: poi lo fa in brani.
Per tutta la città in un baleno si divulga la notizia: avere il re lacerata la capitolazione, e restare ormai col suo esercito a difendere Milano.
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