Questa alternativa fu intesa con gaudio da quel misero popolo. Più di due terzi della popolazione - uomini, donne, vecchi, giovani, ricchi e poveri, tutti si incamminavano per la Porta, che più lontana si trovava a quella, per dove entrar dovevano gli Austriaci: si videro allora numerose colonne di emigrati d'ogni età, sesso, condizione: tutti portavan con sè gli oggetti i più preziosi, i più cari, i bambini, sino gli ammalati, che abbandonar non volevano alla rabbia croata, od alla discrezione del vincitore: grida, gemiti, pianti li precedevano: qualche cavallo, pochi carri o birocci li seguiamo per tradurre i più deboli, i più soffrenti.
Quando questa turba ebbe passata l'ultima barriera, quando ella si trovò ad un centinaio di passi dal patrio tetto, sostò; lo sguardo alla città rivolse: Gerusalem novella la patria salutò.
Era rossa la tinta del cielo, nere colonne di fumo alle nubi s'ergeano. Che era quel fuoco ? l'incendio dei sobborghi forse non ancor spento? o l'austriaco cominciava già le sue vendette? o qualche pio cittadino avria mantenuto il giuro di non lasciar all'inimico, che un mucchio di cenere?
Le ruine del palazzo nazionale del Genio, della Dogana, dell'ospitale militare di S. Ambrogio coprono un mistero: non v'ha persona, che lo conosca.
Così Milano fu ancor una volta dell'Austria: le sue truppe entravano trionfanti, là dove quattro mesi prima arano state vergognosamente cacciate. Venticinque mila soldati avevano presa una città difesa da quarantacinquemila uomini di truppe regolari al difuori, da più di quarantamila guardie nazionali al didentro: senza colpo ferire la tenevano.
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