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      Il Comitato invece, vedendo avvicinarsi il pericolo non temeva di gettar lo sgomento nel popolo, bensì conoscendone la intrepidezza, voleva metterlo in guardia perchè con dignitosa calma si preparasse alla lotta. Non ignorava però che la opportunità del momento della erezione delle barricate doveva fissarsi d'accordo colle mosse dell'esercito, onde alla difesa di esso si coordinasse anche il sistema di difesa interna. Nel dì stesso adunque prima di far suonare a stormo, interpellò il general Olivieri, il quale dichiaro inopportuna la misura, ostacolo, anzi che giovamento, alla difesa che l'esercito avrebbe fatto della città; al che i membri del Comitato allora dovettero arrendersi.
      Nel dì quattro di buon mattino rimbombava il cannone. Le notizie del campo, e il fragor della battaglia vieppiù crescente annunziavano l'accostarsi del nemico alla città: il popolo, non spaventato, ma fieramente ansioso voleva le armi, voleva la costruzione delle sue inespugnabili barricate.
      A due ore dopo mezzo giorno, due dei membri del Comitato di Pubblica Difesa, il general Fanti, e l'avvocato Restelli si recano dal general Olivieri, esprimendo il generoso desiderio del popolo e la necessità di soddisfarlo, e per premunirsi contro il pericolo vicino, e per infiammare vieppiù cogli apparecchi della resistenza gli animi già risoluti. Al che il generale Olivieri rispondeva di nuovo: essere, inopportuna la misura, non doversi partecipare e accrescere gli allarmi del popolo, farsi grave insulto all'esercito e a suoi duci, costruendo barricate in una città, alla cui difesa stavano 45 mila soldati: che però quel dì, trovandosi a pranzo dal re, avrebbe provocate le sue determinazioni.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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