Il generale Olivieri chiedeva che gli venisse lasciato libero il passo per recarsi da Radetzki ed annunciargli che la capitolazione non era accettata. Si offriva l'ingegnere Susani di accompagnarlo: il popolo voleva che a lui si unisse altra persona. Al generale Olivieri non andava a grado la compagnia dei due testimoni, e fu detto che di codesta missione era stato incaricato un ufficiale. Ma nessuno, per quanto se ne sa, fu mandato a Radetzki. Fu crudele inganno il rifiuto della capitolazione e la promessa di voler difendere la cittą.
Pił tardi il Podestą, il Presidente della Congregazione Provinciale e l'Arcivescovo si portarono da Radetzki, e ne ottennero la prolungazione del periodo utile per i cittadini di uscire dalle porte fino alle ore otto della sera del giorno successivo.
La fatale catastrofe era compiuta. Il Re e la sua camarilla volevano dar seguito alla capitolazione, qualunque pur fosse il dissenso dei cittadini. La resa di Milano era condizione ai patti stipulati per le proprie truppe. Egli doveva mettere la Porta Romana in possesso di Radetzki, e ne rispondeva dell'esecuzione il suo esercito di quaranta mila uomini e cento pezzi di artiglieria. La cittą, resistendo, doveva passare per gli orrori della guerra civile, contro il Re e le sue armi prima di combattere Radetzki. I cannoni piemontesi a Porta Vercellina erano rivolti contro la cittą!
La posizione era disperata. Fino allora l'ordine aveva regnato nella cittą: le truppe, la Guardia Nazionale, i cittadini erano al loro posto, pronti alla difesa.
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