L'esercito era valorosissimo ed i suoi generali ammirabili per incapacità. Dopo la sconfitta, vediamo il tradimento.
Se non che dobbiamo tener conto di alcuni fatti importanti avvenuti in questi quattro mesi di guerra, che rivelano quelle intime tendenze che nei momenti della sventura si tradussero in tradimento aperto.
V'era un partito forte nel Piemonte, e ve n'era uno degli stessi principî non meno forte all'esercito, rappresentato dall'Alto Stato Maggiore e dai Consiglieri che circondavano il Re, a cui la condizione apposta dai Lombardi per l' unione col Piemonte, la condizione cioè della nuova costituzione formata da una Assemblea eletta col voto universale metteva paura. Era il partito retrogrado-gesuitico; e gli uomini che ad esso appartenevano, se non contrariarono, non favorirono almeno il sollecito scioglimento della grande questione italiana, che nella loro opinione doveva inaugurare una nuova era di temuta libertà. Le scandalose discussioni seguìte alla Caunera dei Deputati di Torino, e le scissure ministeriali sul progetto della legge di unione, furono per tutti i buoni di ben triste augurio per l'avvenire della libertà italiana.
Al campo non si seppe, anzi non si volle tirare il dovuto partito dai volontari, da questo generoso elemento della rivoluzione. Non furono essi abbastanza appoggiati dall'esercito, furono trascurati, anzi compromessi in posizioni difficili in cui era quasi impossibile una efficace resistenza. Nei volontari era l'elemento repubblicano, male accetto quindi allo Stato Maggiore del Re, benchè avessero in ogni scontro dimostrato molto coraggio personale nell'affrontare e battere il nemico.
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