Intanto la guerra veniva trascinata in lungo per influenza principalmente del partito retrogrado, rimasto in Piemonte ed esistente al campo, che voleva ritrarsene per trincerarsi in casa propria dietro il baluardo dei vecchi privilegi e della propria supremazia, compromessa altamente dal nuovo ordine di cose.
V'è chi assicura, che anche prima dei funesti tre giorni di luglio, non fossero abbastanza giustificate le frequentissime comunicazioni fra il Re e Radetzky. Pur non crediamo che fin d'allora fosse iniziato il vile trattato.
Ma dopo la battaglia perduta dalle nostre armi per evidente imperizia dei generali, che non seppero portare la sufficiente quantità di truppa sul vero punto strategico, riconobbe il re, riconobbero i suoi generali, riconobbero i suoi aderenti che l'esercito più non bastava a far trionfare la causa italiana e, determinati com'erano di non giovarsi delle forze generose ed insurrezionali d'Italia, bisognava necessariamente avessero ricorso all'intervento francese. Da quel punto predominò un sol pensiero, quello di salvare gli antichi Stati di Piemonte col sacrificio delle province Lombardo-venete e quindi della causa italiana. Tutto allora si dispose a questo fine. Mentre si iniziavano le trattative con Radetzky, si andarono mendicando pretesti di giustificazione alla diserzione che si preparava.
Tutte le notizie ufficiali giunte a Milano dal campo assegnavano quale cagione unica della sconfitta di Sommacampagna e Custoza, la mancanza di viveri, e ne traspariva evidente il rimprovero alla Lombardia, quasi per essa fossa avvenuto che i viveri non fossero stati forniti.
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