L'esercito italico era giunto il 1° di luglio oltre il Niemen, e il vicerè si rallegrava in vedendolo, alla distanza di seicento leghe dall'Italia, in buona ordinanza e in florida salute. Ma ben presto cambiavasi l'aspetto delle cose. Le pugne continue e il freddo, che di giorno in giorno ingagliardiva, addecimavano le schiere italiane, a tal che il 13 di settembre, quando il generale Pino, che era rimasto al suo posto poco stante da Mosca, giunse con la sua divisione in quella città di già data alle fiamme, il numero delle soldatesche ch'ei comandava era ridotto da quattordicimila a quattromila. Eppure questa stessa divisione Pino fu quella che pochi giorni di poi si avventò con cieco impeto contro un polso di Russi che avevano discacciato i Francesi dalle occupate alture, e che, signoreggiando così la pianura, tribolavano l'esercito nel suo passaggio. Ripresero gl'Italiani quelle alture, ma la gloria d'impadronirsi d'un luogo ond'erano stati discacciati i Francesi, costò loro ben caro. Il freddo, la fame, la fatica e gli agguati dei Russi faceano ogni giorno perire i migliori dei nostri soldati. Gli uni s'allontanavano dalle file in cerca di cibo, e, soprapresi dai Russi, erano trucidati; altri sostavano un istante onde ricuperare con un po' di riposo le forze, e il freddo che li coglieva, non concedea più loro di risorgere. Era duopo passare a guado i fiumi, e immergersi talvolta nell'acqua fino al mento, e tirarsi dietro i carri di munizioni ed i cannoni, pei quali erano venuti meno i cavalli.
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