Era forza sopratutto camminare di notte tempo, a fine di deludere la vigilanza nemica. Gli ufficiali ch'ebbero parte in quella spedizione ricordano tuttora che un giorno in cui il vicerè era accorso per mettersi alla testa della guardia regale italiana, egli vide repentinamente diradarsi le file di quella, e la confusione regnare per un istante in tutto il corpo. Appressatosi maggiormente, gli fu subito chiara la cagione del fatto; ed era che trentadue granatieri della guardia stessa erano tutti ad un tratto stramazzati a terra, morti dal freddo. Si narra di ufficiali superiori, i quali, scortati soltanto da una dozzina o che d'uomini, si videro assaltati nella meschina capanna in cui riposavano, da parecchie centinaia di Cosacchi, i quali non osando superare a viva forza gli steccati che la capanna circondavano, ritraevansi sull'alture vicine, donde minacciavano poi o di abbruciar la capanna, o di far fuoco sopra chiunque ne uscisse.
È noto ad ognuno come l'esercito italiano giugnesse alla sera sulle rive della Beresina, e come assai piccolo fosse il numero di quelli che si trovarono in grado di ubbidire agli ordini ricevuti e di passare la sera stessa il fiume. È noto altresì che il ponte fu rapito dall'impeto dell'acque nella susseguita notte, attalchè gl'Italiani s'avvidero, appena ridesti, che l'ultima speranza di salvezza era loro tolta. Non si perderono d'animo tuttavia; chè subito soldati ed ufficiali del corpo del genio e dell'esercito tutto si posero alacremente all'opera per costruire un nuovo ponte, benchè i lavori erano continuamente interrotti dal fuoco dei Russi, i quali senza posa tribolavano quel non più esercito, ma turba d'uomini estenuati e cadenti.
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