Ned io vo' punto che il principe Eugenio avesse recitata l'orazione funebre dei ventisettemila Italiani sepolti nelle pianure della Russia, nè pretenderei che a loro riguardo egli avesse spesa alcuna frase patetica, e detto altrimenti che: i ventisettemila uomini partitisi meco sono ridotti a dugentrentatrè; fate altre leve, e mandatemi gente abbastanza per surrogare gli estinti; ma vorrei sotto queste parole, asciuttissime in vero, travedere un'angosciosa commozione ch'egli tentasse di occultare. Mi si opporrà certamente che la scrittura non dà altro che le parole, e che sarebbe irragionevole il pretendere ch'essa disveli commozioni che lo scrittore non volle esprimere. Una tale opinione può essere savissima; io però forte mi attengo all'opinione contraria. Mi si dieno due scritti contenenti l'uno e l'altro le stesse parole; ma il primo de' quali sia stato vergato sotto l'impulso d'un potente, benchè represso, affetto, e il secondo, all'incontro, non sia altro che il resultato di un calcolo; e la lettura del primo mi commoverà, forse a mia insaputa, mentre dall'altro non sarò punto punto commosso. Non si dà forse persona, per quanto io avviso, la quale non abbia provato alcun che di simile a quello ch'io dico. Saravvi alcuno che, leggendo un qualsiasi racconto, non siasi sentito di repente commosso e quasi colpito nel cuore da una parola semplicissima in sè stessa, e che per la centesima volta fors'anco gli cade sott'occhio senza che mai gli abbia fatto dianzi un tale effetto?
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Eugenio Italiani Russia
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