In Francia, ai tempi della Rivoluzione, al boia davasi il carico di disciogliere siffatte brigate. Nell'anno 1814, in Milano, quantunque le cose non paressero disposte per nulla onde dar luogo ad un sì tragico scioglimento, poco mancò tutta via che il conte Paradisi e i suoi amici non iscontassero con la vita il fio di aver voluto godere il poco grave diletto di mostrarsi da più di quei che li circondavano.
Il segretario degli ordini del principe Eugenio, per nome conte Méjean, erasi tirato addosso, più ancora che non avessero fatto i conti Paradisi e Vaccari, lo sprezzo e l'odio de' Milanesi. Era il Méjean francese, e godea dell'assoluta fiducia del vicerè; talmente che se non vi si fosse attraversato l'espresso e formale divieto dell'imperatore, sarebbe salito in pochi anni alle più eccelse dignità dello Stato. Coloro che hanno praticato costui quand'era in auge, accertano ch'ei non difettava di abilità; ma quanto alle doti del cuore, egli non gode di fama sì buona. Questo difetto era in lui ricompensato da un'ammirazione cieca per l'imperatore e pel vicerè; ammirazione di cui esagerava talmente l'impressione, che non potea non irritare così lo spirito un po' beffardo de' Lombardi. Io ho in questo momento sott'occhio una lettera del Méjean al Villa, prefetto di polizia in Milano, data da Mantova il dì 30 marzo 1814, nella quale egli sclama contro la voce che correa d'un armistizio pattuito fra il principe Eugenio, e i duci delle truppe nemiche, asserendo esser quella voce non solo falsa, ma destituita d'ogni verosimiglianza; chè niuno era, a sua detta, in grado di dover pattuire alcunchè di simile, e non avea nemmeno le facoltà necessarie a tal uopo.
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