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      Il vicerè non aveva egli ragione di temere che all'udire dell'irruzione in Francia delle truppe della Lega, i soldati francesi che erano da lui trattenuti in Italia, non disertassero da una contrada straniera per accorrere a salvare la loro terra natia? No, il timor puerile d'una diserzione in massa non fu quello che indusse il principe Eugenio a resistere ai comandamenti dell'imperatore, ma bensì il pensiero, forse non ancora del tutto fermato nel cuor suo, di non abbandonar la contrada in cui poteva ancora conseguire uno splendido posto. Il 9 di novembre del 1813 fu il giorno in cui il vicerè scrisse all'imperatore il come e il perchè non ottemperasse a' suoi comandamenti.
      A mezzo circa il dicembre il re di Napoli e il vicerè d'Italia abboccaronsi nella città di Guastalla. Il vicerè andò in calesse al luogo convenuto; accompagnato da un segretario e da un aiutante di campo. Giunto a Guastalla, scese all'albergo in cui trovavasi di già il re di Napoli, e si trattenne con lui per tre ore. All'uscire dalla conferenza, il vicerè raggiunse i suoi compagni, che stavano aspettandolo sulla piazza posta davanti all'albergo medesimo, e comandò brusco si attaccassero i cavalli: salito poi nel calesse coll'aiutante di campo e col segretario, stette un lungo tempo pensoso e tacito. Finalmente con dispetto esclamò: "Non puossi far nulla con cotestui; egli non vuole punto farsi capace che la caduta del tronco si trae dietro necessariamente la caduta dei rami". Aggiunse in appresso alcune parole che parevano alludere ad un disegno che era stato da lui stesso inutilmente proposto a Murat.


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Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent'anni e delle cagioni del difetto d'energia dei lombardi
di Cristina di Belgioioso
1847 pagine 218

   





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