Benchè il tempo fosse piovoso, il che per lo consueto basta ad attutare la turbolenza della plebaglia, poterono agevolmente i senatori addarsi che l'accesso al palazzo era ingombro d'una moltitudine stranamente composta di cere mal note, nella quale uomini in assetto decente vedeansi frammisti ad altri che sembravano, all'incontro, appartenere agl'infimi ordini della società. Avvertirono certamente eziandio i senatori che il palazzo non era custodito giusta il consueto, giacchè vi era di guardia un drappelletto di forse otto o dieci reclute. Ma checchè volgessero in mente a tale proposito, le loro riflessioni furono tosto interrotte dal mormorio che sorgeva in quella moltitudine all'arrivo di quei senatori che la pubblica voce indicava come spalleggiatori della proposta del duca di Lodi, e dalle acclamazioni con le quali erano salutati i senatori noti per essersi dichiariti contrari a quella proposta.
Riuniti nella solita aula delle consulte, e non punto intimiditi dal romore che udivasi al di fuori, udirono i senatori la lettura del processo verbale della seduta precedente, e l'approvarono: dopo del che il presidente conte Veneri comunicò, non però ufficialmente, al senato la protesta di cui qui sopra ho riportato i termini, e la lettera d'invio del podestà Durini, che accompagnavala.
Non appena fu terminata questa lettura, che il capitano Marini, additto al comando della piazza, chiese instantemente, in nome del corpo degli ufficiali della guardia civica, di essere ammesso al periglioso onore di custodire e difendere l'assemblea del senato.
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