I conti Luigi Porro e Giovanni Serbelloni recaronsi alla sera del 20 nel quartier militare detto di Santa Marta, e gridarono entrandovi che le cose erano ite meglio di quel che potessesi ragionevolmente sperare. Con ciò intendevano a dire, certamente, che il furor della plebe erasi appagato d'una sola vittima. Pochi momenti dopo uscirono da quel quartiere e dalla città, e trasferironsi al quartiere generale austriaco per ragguagliare il maresciallo Bellegarde dei fatti operati, e dei cambiamenti sopragiunti nella condizione della contrada, e per invocare il possente patrocinio di lui.
Il partito sedicente italico puro brigavasi intanto della convocazione dei collegi elettorali, e lusingavasi colla credenza che lo Stato fosse omai posto in salvo; poichè la cosa stava per comporsi fra il paese stesso, rappresentato dai collegi, e i Sovrani alleati, solleciti e teneri della felicità di esso.
I Muratisti subivano in questo mentre una trasformazione. Già in occasione della conclusione dell'armistizio tra il vicerè e il maresciallo di Bellegarde, Murat avea tentato di appressarsi a Milano per la parte di Piacenza; ma erane stato impedito dagli Austriaci, i quali aveangli inoltre fatta minaccia, nel caso ch'egli proseguisse il cammino, di rompere ogni alleanza con lui e di entrare dal canto loro nel territorio milanese, come pure nel reame di Napoli. I progetti del re di Napoli essendo con ciò sventati, il generale Pino, capo del partito muratista, imaginava un piano novello, in cui la prima parte doveva essere la sua.
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