Sordo ormai alle instantissime suppliche di tutti coloro che faceano retto giudizio della condizione dello Stato italiano, il principe Eugenio conchiuse il 23 di aprile col maresciallo Bellegarde un'altra convenzione, per la quale quest'ultimo entrava in possesso non solo della capitale, ma e dei dipartimenti da cui per lo innanzi era stato escluso. Questa convenzione, rimasta segreta fino al giorno 26, e sospettata soltanto dalle truppe italiane, sparse fra esse la più angosciosa inquietudine. Pensieri di ribellione covavano in tutti quegli animi, e parole di minaccia uscivano dalle labbra di tutti i soldati, insieme con le espressioni della più intiera devozione verso il principe Eugenio e con le più calde suppliche acciò non partisse. Ma tutto era omai indarno. La principessa Amalia, sgravatasi quindici giorni prima, era venuta a raggiungere il principe Eugenio, suo marito, in Mantova, seco portando la numerosa sua famiglia. La guardia regia recossi il 26 a Milano, ov'era stata chiamata dalla provvisionale Reggenza. Il principe Eugenio avea di già fatto rimettere, la mattina del giorno stesso, al prefetto Vismara del dipartimento dell'Olona; lo scettro e la corona d'Italia, che prima egli avea tolti seco, per tema che si preziosi oggetti non cadessero in mano dei nemici. Alla sera del 26 l'ultima convenzione del vicerè e del maresciallo Bellegarde fu pubblicata; e un reggimento austriaco entrò tosto nella città di Mantova per pigliarne possesso. Alle quattro antimeridiane del seguente giorno, 27 d'aprile, il principe Eugenio, la principessa Amalia, i loro figliuoli, scesero lo scalone del palazzo, seguiti soltanto da alcuni fidi servitori, ma aspettati alla porta dagli ufficiali e dai soldati dell'esercito italiano, che li salutarono piangendo, non senza rinnovellare ancora una volta le loro proposte, le loro offerte, le loro preghiere.
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