Sono alieno a trafatto dal far plauso allo spirito e ai fatti di quel tempo; e di fatti ho deplorato abbastanza nel corso della mia narrazione il funesto acciecamento di cui sembravano tutte colpite le diverse fazioni che brulicavano allora in Milano. Ma pure, se la Lombardia procedeva allora da cieca, non era essa tuttavia immobile; se tristi affetti bollivano nei cuori, non vi si annidava almeno la stupida indifferenza; se i membri dell'aristocrazia si lusingavano con la speranza vana di troppo splendidi destini, sentivano almeno la voce dell'ambizione; se lo spirito nazionale pareva affetto da demenza, il male derivava tuttavia da soverchio, anzichè da difetto di vitalità. Ora, per quale politico processo avvenne egli mai che quel soverchio di vitalità, quei sensi ambiziosi, quelle triste e terribili passioni, quello spirito di vertigine e di turbolenza si sieno spenti così pienamente, che il popolo lombardo è oramai non meno straniero ed indifferente ad ogni pensiero di progresso, ad ogni diviso di mutazione, di quello ch'ei sarebbe se fosse vissuto rinchiuso, dal principio dei secoli, in un'isola ignota al rimanente del mondo?
Questa trasformazione sì rapida, poichè operossi nello spazio di trent'anni, questo trapasso dalla vita alla morte è opera della polizia austriaca, è effetto de' suoi provvedimenti, intesi a convincere i Lombardi: 1.° che il più segreto pensiero di ognuno di essi le è conto bentosto; 2.° che il menomo pensiero liberale, il menomo desiderio di libertà, e qualsivoglia giudizio emesso intorno agli atti del governo o dei membri di quello, costituisce un reato, alla pena del quale dee soggiacere tosto o tardi il colpevole; 3.° che ogni sentimento che non vada a versi del direttore della polizia, è parimenti un reato; 4.° che non v'è cosa al mondo che possa smuovere il governo austriaco, nè indurlo a concedere ai suoi sudditi riforme, ordini novelli, ecc.
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