Il visconte poi dovea far pagare al Lattuada per mezzo d'un banchiere di Lugano un milione di franchi, destinato a pagare la diserzione che facea di mestieri nei reggimenti italiani partiti alla vôlta dell'Austria. Indettatisi in questi termini, i quattro congiurati si separarono promettendo di riunirsi di nuovo il 26 di novembre, e di recare al convegno un progetto definitivo di costituzione, un bando all'esercito e un manifesto al popolo. Furono tutti fedeli alla promessa nel giorno prefisso; ma l'impostore, che giunse per l'ultimo, entrò trepidante e smanioso nella sala della conferenza, dicendo ch'era stato seguito da emissari di polizia, che aveane veduti parecchi cammin facendo, ed eragli forse venuto fatto di sottrarsi alla vista loro coll'allungare il passo; ma che in tale condizione di cose era necessario deliberar prontamente e subito separarsi. Facea l'impostore egregiamente la sua parte. Sembrava sbigottito e sdegnato ad un tempo, volgeasi bruscamente di quando in quando per vedere se non aveva alcuno dietro, e coll'occhio ardente, col volto acceso, parlava ad alta voce, gestiva, si dimenava. Trasse anzi di tasca una pistola da due colpi, cui disse carica, e depostala sul tavolino, presso il quale i congiurati, rimasi a tale atto interdetti, erano raccolti, esclamò: "Vengano, vengano questi bricconi, questi sciaurati, e se alcuno fa mostra di pormi le mani addosso, avrà a che fare, per Dio! con la mia pistola". Acchetatosi poscia alquanto, pregò gli amici di entrar presto in materia.
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