Venne perciò condannato ad un anno di carcere. Era egli tratto con buona scorta dalla prigione degl'inquisiti a quella dei condannati per iscontarvi la pena, quando gli venne in mente la speranza di poter conoscere la sorte dell'amico. Trovandosi vicino ad uno dei custodi, lo interrogò se il Panigotti fosse condannato alla stessa pena, se avesse a subirla nell'istesso carcere, e se non fosse soverchiamente afflitto dalla sua sventura. Avrebbe detto anche di più se il custode, che non era edotto di tutti i lacciuoli tesi agl'inquisiti dalla giunta, non l'avesse interrotto ridendo, per assicurarlo che il Panigotti, anzichè essere in carcere, era scampato e stava ottimamente in Brusselle. Il povero notaio s'accorse allora soltanto dell'abisso che gli aveano scavato sotto i piedi, e il raccapriccio cagionatogli dalla scoperta di tanta iniquità fu sì fiero, ch'egli stramazzò tramortito a terra, e non appena risensato, fu côlto da una febbre nervosa, dalle conseguenze della quale non potè mai pienamente riaversi. Il suo gastigo non dovea però finire con la fine della sua prigionia. Ricuperando la libertà, egli non ricuperò già la carica, statagli tolta per effetto della sentenza contro di lui proferita. Avanzato in età, estenuato dal carcere, e sprovvisto di sostanze, il Bontempi visse ancora alcuni anni con le limosine che gli faceano or l'uno or l'altro de' suoi soci di sciagura. Alla fine parecchi mesi trascorsero senza ch'ei fosse veduto recarsi da veruno di loro, com'era il suo solito, per chiedere, quand'era angustiato dal bisogno, un qualche soccorso.
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