Alcuni degl'inquisiti furono riposti in libertà, ma assoggettati alla invigilanza della polizia, e astretti a rimanere in città. Quelli fra loro che testè occupavano una carica o esercitavano una professione dependente in qualsivoglia modo dal governo, ne erano privati. Inoltre, aggravando la disgrazia e il danno di questi uomini che avevano sfuggito la condanna, non tralasciò il governo di sparger voci sinistre contro i medesimi; voci che il pubblico accolse premurosamente. Laonde ne avvenne che, usciti dal carcere, privati della carica o della professione, rovinati per l'abbandono delle cose loro, posti in un'ingrata soggezione, pregiudicati gravemente nella salute, esclusi dal posto che aveano lasciato vacante nella società, epperciò doppiamente bisognosi, per poter sopportare la vita nei termini in cui gliel'aveano ridotta, di essere sorretti dalla stima e dalla simpatia generale, ei si trovarono all'incontro isolati frammezzo agli antichi loro amici, videro sul volto di questi non dubbi segni di diffidenza, e dovettero comprendere che nulla ormai rimaneva loro, nemmeno la stima di coloro a pro de' quali aveano posta a repentaglio ogni loro cosa. Tale si era il destino di tutti gli inquisiti riposti in libertà. Omisi di far avvertire che quasi tutti furono rimandati liberi per difetto di pruove legali, cosicchè il loro processo rimaneva aperto, ed essi potevano ad ogni istante essere tratti in carcere di bel nuovo.
I conti Confalonieri e Pallavicini, il barone Arese, Gaetano Castillia, il Borsieri e il Tonelli furono condannati a morte per crimine di alto tradimento.
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Confalonieri Pallavicini Arese Gaetano Castillia Borsieri Tonelli
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