Nel Duomo di Forlì avvi appunto una colonna che del continuo sì profonda, per cui bisogna di tempo in tempo(3) riparare alle screpolature che produce nella volta che sostiene. Ma oramai inutile reputo l'addurre altre prove. Alla poca solidità del suolo, ed alle acque sotto correnti si dovrà principalmente attribuire quel lento e quasi regolare abbassamento di pesanti moli; ma non si deve escludere l'azione più rapida, e più veemente dei terremoti, quando non sono causa di ancor più grandi rovine.
Procurando io ogni volta che tratto un argomento qualunque di consultare quanto di più interessente fu già da altri detto, almeno per quanto le angustie non solo della mia privata, ma ben anche talvolta delle pubbliche nostre bibliotecbe lo permettono, non sarà fuori di proposito l'accennare che alcune di queste mie considerazioni, che pur non si trovano fra li moderni scrittori, sugli effetti del terremoto, erano già state fatte dagli antichi, e particolarmente da Seneca, già da me citato nel testo; poichè quanto alle cause poco di sicuro si è scoperto d'allora in poi. Seneca dunque nel libro VI, in cui tratta del terremoto al cap. IV e XXI, parla di questi fuochi contemporanei, e di nuove isole sorte dal mare; e nel cap. XXVI particolarmente soggiunge: Callisthenes et alio tempore ait hoc accidisse: inter multa, inquit, prodigia quibus denunciata est duarum urbium Helices et Buris eversio, fuere maxime notabilia, columna ignis immensi: cap. XXI. Tunc demum impetuns sumunt (acquae) cum illas agit flatus: qui potest dissipare magna spatia terrarum, et novos montes subrectos extollere; et insulas non ante visas, in medio mari ponere.
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