Quid, quod aquae inutiles, pestilentesque in abdito latent, ut quas nanquam usus exerceat, nunquam aura liberior everberet? Crassae itaque, et gravi caligine sempiternaque tectae, nihil nisi pestiferum in se et corporibus nostris contrarium habent. Aer quoque qui admixtus est illis, quisque inter illas paludes jacet, quum emersit, late vitium suum spargit, et haurientes necat...Tunc etiam ille spiritus purior transit in noxium. Inde subitae continuaeque mortes, et monstruosa genera morborum, ut ex novis orta causis. (Seneca. Natur. Quaest. Lib. VI Cap. 27. 28).
Ma se rimane in potere dell'uomo il togliere, o l'impedire in parte almeno, ed in determinati luoghi gli effetti dell'aria cattiva; quale poi ne sia la vera causa, e come operi, è un'indagine che ancora rimane a farsi. Alcuni non all'aria che si respira ne' luoghi paludosi, ma all'acqua cattiva che si beve ne attribuiscono le febbri che ivi si generano, ed il mal essere generale, che vi si prova: ma oltre che dall'analisi chimica istituita tanto sull'aria, che sull'acqua di que' luoghi nulla finora si è potuto scoprire, se l'umidità sola, o le esalazioni delle sostanze vegetali ed animali in putrefazione attivate dall'alta temperatura bastassero a produrre i nocevoli effetti, non si vedrebbero molti paesi andarne esenti sebbene in mezzo ad acque stagnanti, e come si trova Venezia in mezzo alle lagune(13). Che poi non possa esser l'acqua che entra ne' nostri alimenti la causa primaria si arguisce dal fatto le mille volte avverato, bastare talvolta di soggiornare una notte in que' luoghi infetti senza prendere alcun cibo o bevanda, per venir colpiti dalla malattia endemica; siccome lo proverebbe chi dormisse una sol notte nelle paludi Pontine; e già il celebre Volta, di cui si darà qui appresso una lettera inedita su questo argomento, ne aveva fatta questa giudiziosa osservazione.
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