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      Finalmente gli ricordai ciò che dovea ricordargli, e fu allora che il Sig. Giuseppe mi rispose essere io in libertà di scriver a Ciotti giacché cessata la probabilità del matrimonio, non temeva più che quegli potesse intorbidarglielo. Ecco una bella azione da bagherino!
      Dice Bernetti per redimere il suo onore in un fatto, che tanto glielo adombra, che invece di sei scudi mi regalò un vestito. Il regalo del vestito è vero, ma ne son diverse le circostanze. Egli inventa di avermelo dato nuovo e buono, ed io rispondo che era di un cattivo panno rivoltato e ritinto, e tanto ciò è vero, che portando per la vecchiaia un flagello di tarlature, queste scoprivano la corda del panno molto più chiara che il pelo esterno, dal che è facile rilevare essere stato tinto con un colore più scuro di quello, che il panno aveva in origine. Ma non è questa la circostanza più solenne, che mi prefiggo prender di mira; eccola. Bernetti vuole avermelo donato in luogo dei sei scudi - falso, falsissimo, invenzione artificiosa, ma di uno sciocco artificio. Il vestito io lo aveva ricevuto due mesi prima che si partisse il Bernetti da Roma, ed in tempo che io stava ancora ai Capuccini. Dirò come fu. Bernetti mi macchiò una sera di olio il mio unigenito abito; macchiatolo, ne ingombrò le imbrattature di raditura di muro, e mi diè a portare un suo vestitaccio (che è quello, di cui parliamo) sintanto che il gesso avesse intieramente sorbito l'olio, del quale era coperto. Rimandato esso alfine, Bernetti mi richiese il suo abito, io glie lo resi, e fu finito; ma volendo io poi giorni dopo far dare dal sarto una restauratina al mio abito che ne aveva anzi che no bisogno, pregai Peppe a rinuovamente prestarmi quel suo, ed egli urbanamente mi concesse la grazia. Tornò l'abito dal sarto, pagai a questi alcuni paoli del mio, e restituii a Peppe l'abito provvisorio, che mi fu anzi da lui dimandato prima che avessi avuto agio di adempiere al mio preciso dovere.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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