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      Non vogliate credere che la lontananza ed il tempo abbiano indebolito in me la immagine di ciò che vi appartiene, e vi circonda. Ancora mi pare di essere a S. Benedetto, di passeggiare con libertà nelle nostre stanze, di udirvi a suonare il basse ed il clarettone, di valicare nel vostro legno il Tesino, o Ticino che sia; insomma di conversare con voi, e con gli amici che vi siete scelti per compagnia della vostra vita tranquilla. Fra due o tre giorni io parto di qui per la mia patria, dove tornerò alle mie consuetudini, impiego cioè, passeggio, ritiro, e silenzio. Conosco in queste poca utilità per la mia salute fisica, ma temo, che troverei peggio per la morale, quando così non vivessi, ed andassi ad immergermi in quel vortice, nel quale quattro quinti degli uomini pretendono trovare felicità. Io ho poca età, ma pure in ventinove anni di vita, non mi è ancora mai saltato in pensiere di assaggiare questa felicità, di cui odo sempre le laudi, e non vedo mai la realtà. E perciò credo, che per tutto il tempo che dovrò ancora passare nel mondo, mi contenterò di condurre la mia vita oscura, e se vogliamo anche dire apatistica, poiché deciso come sono di astenermi sempre dalla partecipazione delle altrui contentezze, voglio procurare per quanto posso di salvarmi dagli altrui rammarichi, e dolori, e sollecitudini, che sono secondo il mio giudizio il tossico inevitabile attinto dalli poveri uomini a quelle stesse fontane, alle quali concorrono per cavarsi la sete de' piaceri terreni, che inebriano, e non consolano mai. Questo è un perioduccio un po' lungo, ma mi [è] venuto così dalla penna, e voi ve lo sorbirete come tutte le altre mie noiose tirate. Quando anderete a Ripatransone, dove so che da molto tempo non si hanno vostre notizie, favoritemi portarvi i miei saluti a tutti di vostri famiglia prima, e poi a quelli che più convengono nel nostro carattere.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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