Ché l'amor tuo l'affievolita fibraVeglia a saldarmi, e tenero e pietoso
Le dolci cure coi bisogni libra.
Però trar lagni sul malor non oso,
Onde il ciel forse vuol purgarmi l'almaDi qualche morbo più maligno e ascoso.
Ma la speranza che ogni doglia calma,
Fra i tuoi conforti dentro il sen mi brillaIn benefizio dell'afflitta salma.
E tu vedrai di nuovo a stilla, a stillaLa salute colar nelle mie vene,
E raccender la mia spenta pupilla.
Siccome allor che pel Cielo viene,
Dopo una pioggia di stagione estiva,
Iride bella a far l'aure serene:
La Natura spirante si ravviva;
E li pastori che fuggian col greggeTornan sul prato a modular la piva.
Ma qualor Giove che lassù correggeQuanto qui abbasso si succede e move
Con fissi eventi e con prescritta legge,
Me ancor serbasse a più crudeli prove;
Noi dovremmo baciar l'aspro flagello,
E li decreti rispettar di Giove
Ché d'ogni altra virtù questo è il suggello.
Se mai, cara Mammà, o i vostri occhi, o il mio carattere, o la mia propria ortografia, o qualche altra ragione poetica vi facessero dubitare di leggere questi versi, allora aspettate una sera, in cui venga in casa qualcuno, al quale questi ostacoli sieno piani, e fategliene fare la lettura.
In tutti i modi pensate voi a far sì, che Mariuccia riceva questo tributo che io Le offro in mancanza di altro. Forse alla umiltà della medesima dispiacerà, che questi versi si leggano in pubblico, ma spero che ne sarà poi contenta, quando sappia che ciò mi farà grande piacere. Io adesso sono come un fanciullo. La minima cosa mi rattrista, e la minima cosa mi rallegra: figurate poi l'occuparmi di Mariuccia, che per me non è minima cosa, quanto debba recarmi sollievo.
LETTERA 20.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S. BENEDETTORipatransone, 30 agosto 1821
Caro amicoPoiché voi dormite di un placidissimo sonno, io vengo a risvegliarvi col ronzio del mio pimpleo colascione.
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