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      Però tu devi o non leggere ad alcun tiberino questo sonetto, o se lo vuoi leggere senza timore di conseguenze, leggilo appunto a quelli macchiati della pece della quale è discorso: perocché è certo che eglino non saranno per mostrarne alcun fastidio, onde non comparire a fare il lupus in fabula.
      Mi consola moltissimo la notizia del ristabilimento dell'amico Peppe, e del grande miglioramento della cara Clementina, la quale a quest'ora sarà ritornata un fioretto. Tanto questi quanto tutti gli altri di casa, e così gli amici come i colleghi, che si ricordano di me, tu risaluta da mia parte. La mia epistola composta a solo fine di distrazione e passatempo non merita i tuoi elogi né quelli di chi l'ha udita da te recitare. Vedo però che voi altri mi siete assai più indulgenti che non mi è la mia Musa.
      A me accadono tutte belle, e, come si dice a Roma, badiali. Domenica sera 16 del corrente io arrivai a Tolentino morto di sonno, e non potei trovare un buco per dormire un paio di orette. La festa del beato S. Nicola vi aveva attirato tanta gente dei contorni, che io fui obbligato a pigliare un legno fresco e ripartirne a due ore e mezzo appena sparato il fuoco artificiale. E questo sia un proemio del racconto di quel poco di solennità, di cui in quel breve spazio di tempo mi fu permesso di godere. Ti giuro che mi divertii senza capo né fondo. All'avvicinarmi alla Città il continuo suono de' sacri bronzi mi andava annunziando qualche cosa di grosso; ed il mio legno premeva e squarciava frequenti e densi gruppi di villani vestiti in fiocchi, e di tale fisonomia, che pareva che più di Bacco si trattasse che di S. Niccola. Ad un quarto di miglio dalla porta della Città incontrai un palchetto parato pomposamente di un candidissimo lenzuolo rappezzato, e guarnito da una vaga bordura di carta dipinta a patacche di vari colori.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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