Dal più riconoscente animo ho ricevuto i saluti vostri dal Cav. Filippo sempreché me ne ha recati, e con tanta maggiore allegrezza quanto più il tempo crescente avrebbe dovuto lasciarmi rassegnato, se non all'oblio, a quella specie almeno d'indifferenza in che sogliono almeno gli uomini riporre coloro dai quali molti anni e molte miglia li divisero. Dalla quale vostra diversità di sentire e di fare io mi godo recenti freschissimi testimoni.
Io mi son qui da pochi giorni, reduce da Milano, dove mi piace assai più la vita che altrove. Quella città benedetta pare stata fondata per lusingare tutti i miei gusti: ampiezza discreta, moto e tranquillità, eleganza e disinvoltura, ricchezza e parsimonia, buon cuore senza fasto, spirito e non maldicenza, istruzione disgiunta da pedanteria, conservazione piuttosto che società secondo il senso moderno, niuna curiosità de' fatti altrui, lustro di arti e di mestieri, purità di cielo, amenità di sito, sanità di opinioni, lautezza di cibi, abbondanza di agi, rispetto nel volgo, civiltà generale etc. etc.: ecco quel ch'io vi trovo secondo il mio modo di vedere le cose e di giudicarle in rapporto con me; e però se a Roma non mi richiamasse la carità del sangue e la necessità de' negozii, là mi fermerei ad àncora, e direi: hic requies mea. Non ho sin qui veduto Parigi, ma visitandola talora nei libri vi scopro eccessi di misura nel più e nel meno, ed io non amo di associarmi agli estremi. Gli assaggio per curiosità di palato, ma poi cerco il ristoro nel mezzo: lì sta Milano, mi pare, o che piglio un granchio più grande del Gran Can de' Tartari. - E voi mio buon Neroni? Avete voi più viaggiato? Menaste poi i vostri figliuoli a Bologna? E qui fate plauso alla mia felice memoria, se mai mi fosse già stato detto da Filippuccio. Come va il violino in cui uno particolarmente fra i vostri figli così bene si distingueva sin da quando io empiva il Piceno de' miei dolori colici?
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