Io spendo, e la colpa è quasi tua. Me ne sto buono buono a Roma come un angeletto, e tu mi vieni a provocare! Un altr'anno ti faccio cantare. Bella gratitudine! tu ripeti. No, Mariuccia mia, io ti sono gratissimo di quanto tu fai per me, e Dio mi vede il cuore; ma allorché considero l'aggravio che questi miei viaggi resi ormai non necessarii arrecano alla casa, me ne vergogno. Ma di ciò basti.
Smanio di ricevere una tua lettera. Spero di averne dimani dapoiché, secondo i calcoli che faccio, il sabato 22 tu devi avere risposto alla mia di Firenze del 18. Temo sempre che o tu o Ciro stiate poco bene. Non v'è alcuna ragione; lo vedo; ma provo ogni anno di più che l'amore della casa e della famiglia si va in me accrescendo con l'età.
Ieri sera trovai in un caffè il fratello di Tavani, quello che ha per moglie la Frantz. È stato a Milano, e viaggia. Temo però che non ritrarrà dai viaggi lo stesso profitto che può ritrarre il fratello. Questo è un buon ragazzotto, ma a lumi si sta male. Insomma è il sartore.
A Pisa, giovedì, pranzai con un pulitissimo e graziosissimo uomo, Aubert Muradgià Livornese, di circa 50 anni, figlio di A... [nome illeggibile], e negoziante e possidente in detta Città marittima. Finito il pranzo mi salutò colla maggiore cordialità e andò a gettarsi dalla cima della torre pendente. Dalle carte trovategli si rilevò avere già tutto premeditato. Io però non ho mai veduto uomo più presente a se stesso, più tranquillo e più indifferente. Mi dolse assai, tanto più che aveva la stessissima faccia del fu Giuseppe Mazio mio zio. Forse colla morte volle prevenire qualche fallimento.
Che fa Ciro mio? Ti ubbidisce? Si ricorda le promesse che mi ha date? Studia? - Ah! Mi pare mille anni che non vi ho veduto! Ti abbraccio coi soliti sentimenti di affettoIl tuo P.
LETTERA 101.
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