LETTERA 156.
A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, giovedì 15 novembre 1832
Mio caro figlioPer varie combinazioni, fra le quali la pioggia non ebbe l'ultimo luogo, mi trattenni a Terni tanto che giungendo a Roma la sera di martedì scorso vi trovai la tua lettera del 10, giunta al mio indirizzo nell'antecedente lunedì. In essa trovo, mio Ciro, motivi di consolazione, sia in riguardo al buon stato di tua salute, sia per rapporto alla lusinga che tu porti di aggradire colla tua condotta a' tuoi ottimi Superiori, ma finalmente a motivo della soddisfazione che mi mostri del nuovo tuo stato.
Vivendo, tu conoscerai un giorno quello che tutti gli uomini sperimentarono, la vanità cioè di tutto quanto non è merito e virtù; e questa verità, che ti viene dalla bocca di un padre che non saprebbe mai ingannarti, ti sostenga il coraggio e la ilarità nel bel cammino sul quale la mia tenerezza ti ha messo. - Se ciò non si contrarii alle regole di codesto instituto, mi piacerebbe oltremodo che tu nella tua corrispondenza con me e con la tua Madre non abbandonassi quel certo tuono di affettuosa confidenza che noi sempre t'inspirammo, e da cui tu mai non iscompagnasti il rispetto dovuto dai figli a' loro parenti: di maniera che i dolci titoli di papà e Mammà ci giungerebbero assai più cari degli altri di Signor Padre e Signora Madre. Ripeto però che io subordino questo mio desiderio alle leggi della educazione del luogo dove tu ti ritrovi. Quello però che assolutamente io t'inculco è il modo delle soprascritte da usarsi sulle tue lettere. Nessun titolo, Ciro mio. A me semplicemente "Signor Giuseppe Gioachino Belli", e a Mammà tua "Signora Maria Conti Belli" e basta. In Casa nostra non vi sono titoli di nobiltà fuorché abusivi, per una invalsa consuetudine nata da parentele. Il mio carteggio poi e quello di Mammà ti prego di conservarlo tutto, dappoiché io sono assai attaccato alle memorie di famiglia.
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