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      Detto, fatto. Appena sono sotto all'arco della porta, eccoti la Camerata de' piccoli del Collegio che passo passo entra in Città. Al sentire i sonagli, Ciro nostro, vispo come un cardello, si rivolge, e mi riconosce al momento, benchè io stassi al buio dentro un legno con le bandinelle tirate. Mi vide pel davanti, e disse scuotendo le zampette: ecco Papà. Per allora ci salutammo e non più. Io mi fermai per dare il passaporto etc. etc. e la Camerata andò innanzi: ma poi sbrigatomi, la raggiunsi sotto alla fortezza presso alla nuova apertura. Lì discesi e abbracciai Ciro. Non ti so dire come lo vidi sano, bello, allegro, colorito e prosperoso. È il più grande de' suoi compagni, sta forte e robusto, e pare un bel fiore di primavera. Gli dissi qualche cosa di te e della famiglia, lo baciai per tuo conto, e ci lasciammo per rivederci stamattina. Sono infatti escito per ciò, ma che vuoi? Per arrivare soltanto al Caffè a far colezione mi sono bagnato come in una fontana, tanto era ed è il diluvio che, accompagnato da vento e freddo, vien giù in questa orrenda giornata. Ho dovuto tornare alla locanda, aprir la valigia, e mutarmi fino dirò alla camicia. Quindi non calmando l'ira del tempo, gli ho mandato un biglietto dal Cameriere di questa locanda della posta, dove mi è forza sostare per ora sotto alla mannaja dell'onesto cliente di Biscontini. Appena il tempo lo permetterà, escirò per far qualche cosa e vedere qualcuno. Intanto ho fatto prendere alla posta la tua lettera del 4. Godo delle buone notizie di Angelica quanto mi rattristo di Bertinelli. Non so se a Roma si sarà fatta la processione: qui no per la furia dell'acqua. - Ti avviso che Frecacavalli ti dovrà prima di partire riportare i miei Promessi Sposi in tre volumetti. Se lo vedi, salutamelo. - Giorni indietro è qui stato carcerato in piazza Menicucci, con dispiacere di tutta la Città, la quale del resto è trista ma tranquilla.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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