Le raccomando quel mio povero convalescente. Gli abbia cura e lo guardi dalle intemperie. Una recidiva! Dio guardi! Il Tempo non salverebbe meglio della Ragione. Io però gli spero tanto di vita che possa venire in un baule a fare un viaggio con Lei. Si dice che i viaggi rimediano a tutto.
Perdoni le mie scipite facezie, e mi creda seriamentesuo Servitore vero G. G. Belli
Di casa, venerdì 2 ottobre 1835.
LETTERA 223.
A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, 13 ottobre 1835
Mio caro figlioRicevo la tua letterina del 10, e mi maraviglio di non trovarci neppure una parola intorno alla scopetta pel pianforte e al libro di costumi che fin dal 19 settembre ti spedii pel mezzo del Sig. Dottore Micheletti. Che egli non ti abbia fatto la consegna di quegli oggetti è impossibile, ed altronde io te ne ho tenuto parola anche nella mia lettera unita alle calze di cotone (e non di lana, come tu dici), di cui mi accusi il ricevimento. Dunque da che dipende il tuo silenzio sui nostri doni? Da disprezzo non voglio neppure supporlo. Io dovrei inquietarmene e rimproverartene con qualche serietà; ma prima voglio udire le tue ragioni, se ne hai di plausibili. Che se mai ciò dipendesse dalla tua solita ed abituale spensieratezza, mi darebbe poco coraggio per continuarti le mie attenzioni. Basta, ogni prudente giudice deve prima ascoltare le difese e poi condannare od assolvere. Io ti desidererei innocente perché non so avvezzarmi alla idea che tu possa divenire un egoista e un ingrato. Nulla io pretendo da te fuorché studio e bontà. Ma pare a te, Ciro mio, che il non riconoscere le altrui premure andrebbe d'accordo con la bontà che da te desidero? Io so bene che se qualcuno ti percuotesse, tu gli diresti: Mi hai fatto male. Or bene, allorché alcuno ti usa un favore, non dovrai tu dirgli: Mi hai fatto bene? E quando il beneficente si contenti di questa sola risposta, trascurerai tu il dargliela?
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