Fu di spregio d'ognun fuor che di voi.
Levate alto gli omei, le genitaliBlandizie vostre, e i modi lusinghieri
Onde fra voi vi divolgate uguali.
E come già rendeste allo Alighieri,
Date suffragio a lui di Parentali
Fra il pianto, i rosolacci ed i bicchieri.
LETTERA 226.
A FRANCESCO MARIA TORRICELLI - FOSSOMBRONEDi Roma, 14 novembre 1835
Mio caro e povero Torricelli
Come è bugiardo il mondo! quanto breve, e mal locata la gioia dell'uomo! Tornato io a casa ben tardi nella mattina delli 12 (?), trovai sul mio scrittoio una lettera, il carattere del cui indirizzo, non visto da tanto tempo, mi rallegrò. Era tua lettera. Non fosse mai giunta, o non l'avessi mai letta! E fu ventura la trascorsa ora al rispondere: nel mio sbalordimento ti avrei scritto delirj. Le prime parole di quella - Martedì Clorinda fu lietissima ad un pranzo di suo cugino - mantennero, accrebbero anzi il mio piacere ingannevole. E se al tuo dolore, a te ingenuo, a te non seconda vittima del funebre caso si potessero mai da me amico tuo attribuire oratori artifici in mezzo al pianto, ed alla desolazione, parrebbe quel lieto verso destinato quasi a rendere più straziante l'inatteso effetto del resto terribile. Già dalla seconda linea - quel "tornò a casa in ottimo stato di salute" principiò a gelarmi il cuore, perché nel corso ordinario della vita simiglianti frasi non sogliono usarsi mai, se non, preliminari di funeste notizie. O la giovane, bella, e gentile tua sposa! piangi, mio Torricelli, piangi, che ne hai ben motivo. Non sarò io quel freddo spettatore della tua miseria, che venga a tentare il tuo nobile animo colle comuni risorse della sistematica consolazione. Sì, esala nel pianto, un'angoscia, che, trattenuta, potrebbe fare a lutto sei orfani. Chiudi gli orecchi agli zelatori del fato, e del cielo: tu ne sai più di loro.
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