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      Nulladimeno, poiché in ogni caso nel negare il proprio suffragio a chi lo richiegga per quanto esso vale, la umiltà assumerebbe forma di scortesia, io Vi dirò brevemente (e lo giurerei, dove fra onesti uomini abbisognasse) poche versioni de' classici essermi sembrate tanto nobili e splendide e veramente italiane quanto questa da Voi intrapresa del difficilissimo poema dell'ardito cantore di Cesare e di Pompeo. A Voi esperto nella storia delle umane tristizie non parrà maraviglia se le strida delle mulacchie spesso levinsi a soffocare il canto de' cigni. Ma che perciò? Le poche medaglie de' genii sorgeranno sempre dal fiume dell'oblio per andar depositate dal tempo nel tempio glorioso dell'immortalità. E questa è già vecchia peste d'Italia che dove balena una luce là molti soffii maligni corrano a spegnerla: contenta piuttosto la invereconda ignoranza alle tenebre universali che non ad un raggio rivelatore della di lei turpitudine. Ogni opera dell'uomo porta le impronte della frale di lui natura: sufficiente prova lo stesso vostro originale, malgrado delle sue tante parti sublimi. Ma come le civili critiche, criticabili anch'esse possono avvicinare un lavoro alla perfezione per quanto la perfettibilità umana il consenta, così i sarcasmi e gli oltraggi debbono quasi far credere esservi giunto: perché lo scherno è carattere d'invidia; e quella sozza non morde mai in basso. A queste parole sono io trasceso per solo intendimento di calmare in Voi una specie di peritanza in cui Vi veggo ondeggiante nel bilanciare il vostro oro colle spade insolenti dei Brenni della Letteratura. Voi dispregiate, lo so, le ciance di chi non sa usar meglio sua vita che logorando l'altrui; ma nuda di esterni conforti difficilmente la vera modestia non si rattrista in segreto de' tentativi della maldicenza, e non dubita se fra i vani clamori si nasconda alcun germe di giustizia e di meritata severità. Animo, amico caro e rispettabile: onorate, siccome sempre faceste, gli urbani consigli, de' quali piccol'uopo anche avete, ma ricordatevi insieme che un vasto mare non si solca senza procelle e pirati.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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