E per tutta garanzia della mia tolleranza e della sospensione degli atti non dimandai che la di lui positiva parola d'onore. Replicò il Sig. Marchese e mi richiese di estendere la dilazione sino allo spirar d'aprile, pel qual tempo mi assicurò del pagamento degli scudi sessanta, sulla sua positiva parola d'onore. Ripetendo io il 23 concessi la proroga alla parola d'onore del Sig. Marchese, purché il danaro fosse in Roma il dì 30 aprile. E così, messi da parte gli atti giuridici, io viveva tranquillo sopra un pegno che un Cavaliere stima non solo più della roba ma anche più della vita. Arrivato però il mese di maggio senza l'arrivo della somma promessa, mi feci lecito il giorno 7 di dirne due altre convenienti parole al Signor Marchese Ercole, aggiungendogli essere io purtuttavia convinto della superfluità della mia lettera imperocché senza dubbio a quel giorno il danaro doveva essere in viaggio. Eppure io m'ingannava, perché il Sig. Marchese, accusando un'assenza da Pesaro, non mi riscontrò prima del 15 per dirmi che la diligenza che passerebbe da Pesaro il sabato 21 mi avrebbe portato scudi trenta, cioè la metà, essendogli stato impossibile nel momento (sono le di lui parole) di potere accozzare l'intiero. Se questo si chiami soddisfare ad una positiva parola d'onore io lo faccio decidere a Lei, uomo di nobil nascita e di più nobile ingegno. Ma pure v'è di peggio, dappoiché questa mattina è arrivata la diligenza, e i ministri m'han detto nulla esservi di Pesaro per la mia famiglia.
Prima dunque di riaccingermi ad una nuova e durevole guerra, a cui sono spinto da viva forza, io ho voluto dirigere a Lei questi miei ultimi lamenti, affinché Ella, fatta consapevole dei giusti motivi della mia collera, non trovi maraviglioso il mio chiuder d'orecchi ad ogni altra futura proposizione.
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