Mia cara Mariuccia
In questo ordinario non ho trovato alla posta tue lettere, segno che mi hai compiaciuto nel non prenderti la scalmatura di rispondermi giovedì. Spero però di avere tuo riscontro col corriere presente per avvisarti che la mia partenza di qui accadrà (salvo impiccio) nel giorno del prossimo martedì 12. Il vetturino col quale ho già pattuito non sa ancora dirmi se potrà partire la mattina o il giorno, né se impiegherà in viaggio tre giornate o tre giornate e mezza. Per entrambe le dette due varietà di movimento io non posso precisarti se il mio arrivo accadrà nella sera di giovedì 14 ovvero nella mattinata o nella sera del seguente venerdì. Fra questi due estremi però io dovrei essere a Roma, ove non si dasse qualche ostacolo impreveduto, potendosene frapporre al mondo tanti da non mettere in alcuna pena. Per Ciro ho fatto tutto, lo lascio in floridissimo stato, avrò al momento del mio partire passato ventitrè giorni presso di lui: è dunque ormai tempo che ritorni vicino a te, dove potrò forse essere un poco più utile che qui. L'altro ieri condussi Ciro a spasso con me e a prendere il gelato. Ordinai anche qualche pastarella: il caffettiere ne portò alcune di varie specie: Ciro ne mangiò un paio, e poi disse esser meglio che il resto se lo mettesse in saccoccia per avvezzarsi a mangiar tutto, non potendosi mai sapere gli eventi del mondo. Così scherzò con molta grazia su quel tutto, sul doppio senso di qualità e di quantità. È un gran furbaccio: di poche parole, ma pesate. - Jeri verso sera lo trovai al passeggio, e mi fece una bella scappellatona guardandomi con quegli occhi di fuoco. Questa mattina l'ho riveduto al collegio, dove sono andato affinché il Rettore mi mostrasse gli altri romani. Con Ciro erano sette, cioè, tre Sartori, un Caramelli, un Grazioli e un Fiorelli; e tutti in eccellente salute.
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