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      A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, 14 giugno 1838
      Mio caro figlioMentre mi giungeva la tua del 31 maggio andava viaggiando verso di te una mia lettera dello stesso ordinario. Essendo ormai corso d'allora buon tempo senza che noi ci siamo dati scambievoli notizie, rompo io il silenzio per seguitare a darti prove della mia memoria, la quale tanto più volentieri e spesso a te rivolgo in quanto che il mio cuore è sempre più disposto ad amarti per conseguenza degli elogi che mi pervengono della tua condotta. Non superbirne però, Ciro mio, di queste lodi: ricorda sempre che la bontà e l'adempimento de' nostri doveri è un altro dovere esso stesso. Ha scritto un famoso autore: Vitavi culpam non laudem merui. Così astenendosi dal male e praticando il bene si evita più la colpa che non si meriti la lode. Ma se questa ci viene pure tribuita si riceve con gratitudine e quale nuovo stimolo a sempre meglio operare. E guai a quell'uomo che per un falso sentimento ed abbietto, onorato a torto del santo nome di umiltà, si rendesse insensitivo alla lode. Da quella bugiarda umiltà passerebbe a degradare del tutto la sublimità della umana natura. Io non parlo qui del desiderio di biasimo e di mortificazione stato sì vivo ne' santi. Essi però bene e santamente operarono, e la umiltà loro fu un eroismo soprannaturale, dono miracoloso del cielo. Intendo io di ragionarti de' sentimenti connaturali all'uomo in risguardo soltanto de' suoi rapporti col Mondo, dove la lode modesta deve necessariamente commovere un modesto animo a maggior compiacenza delle azioni virtuose e lodevoli.
      Riverisci i tuoi Sig.ri Superiori e saluta gli amici come ti salutano questi amici e parenti di Roma, nonché i nostri antichi domestici.
      Di' alla Signora Cangenna che mi è giunta la sua del 9 corrente, intorno a cui la ringrazio e le risponderò. Ti abbraccio di cuore e benedico.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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