Annamaria la vedo in buonina salute: Carolina in buonona. Il Checcaccio tiene la testa fasciata, perché un solito umoraccio annuale gliel'ha fessa come un granato. Quattro capelli tagliatigli per forza, quattro unzioncelle d'unguento, ed eccotelo già fra poco in istato di correre per Roma a salta-la-quaglia, e di cozzare sin colle corna del diavolo suo aio e maestro. Gli Stortini tirano via come possono. Ogni pelo un bozzo: ogni passo una cantonata. Peppe poi, oh in quanto a Peppe l'è un altro paio di maniche. Dà più di quel che promette, e con un martello alla mano va picchiando alla spietataMollia cum duris et sine pondere habentia pondus.
Costì moderato, dici tu: costà smanioso, rispondo io. E lo scoliaste nostro aggiungevi caldo, benchè il reverendo Prof. Cuppetana legga callo, cioè sostanza cornea del derma. Ebbene? Come e quanti si raccolgono nuovi vocaboli dai fornelli di quell'al-glotto-chimista? Tesaurizzi tu Padre? Oh te beato! Sì presso alla fonte! Io poverello in questo avido fondaccio non m'ho soccorso che ne' putenti arcaismi d'una favella fradicia per quasi sette secoli di vita. Il tuo Cuppetana te ne dà di sì rigogliosa e fresca da starne fresco come la paretaria. Capo-basso avanti le sei Signorie vostre e schiavottiello.
Il tuo G. G. B.
LETTERA 310.
A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, 20 giugno 1838
Mio caro Ciro
Dimani parte di qui la gentilissima Signora Maddalena Caramelli, madre del giovanetto Augusto che va a visitare nel Collegio ov'è insieme con te convittore. Ebbe ella la bontà di parteciparmi questo suo viaggio perché io potessi approfittarmene se mai ti dovessi scrivere. Eccomi infatti a valermene onde riscontrare la tua del 12, che ritardata al solito di un ordinario non mi giunse prima del giorno 16. Così mentre questa tua lettera veniva verso di me andava camminando verso di te l'altra mia del 14 che avrai avuta dal degnissimo Sig.
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