Chi lor vorrà dar guai, Muccio mio bello,
In compagnia d'un uom come gli è quello?
Rispetteran la femminile gualdanaC'abbia a capo il Maestro Cuppetana.
Egli con due vocaboli de' suoiFarà Celti fuggir, Senoni e Boi.
E se tornan, con quattro paroloniFarà Boi rifuggir, Celti e Senoni,
Che cacciandosi dentro alla forestaDiran: chi è mai quest'uom? Qual lingua è questa?
Tu studia, amico mio, giaci e t'impingua:
Le tue donne a scortar basta una lingua.
Mangia, o Iaco, piselli e lattariniE insalata de' Padri Cappuccini;
E dai Conventuali abbiti purePer un soldo un canestro di verdure.
Niun qui a Roma ortolano manigoldoTe ne darebbe tante per un soldo.
I nostri rivenduglioli son ladriE non fan come i reverendi padri,
Che ti danno l'erbucce, e che so io,
Men per danar che per amor di Dio.
Questo è un paese, o mio caro Ferretti,
Che non ti puoi salvar manco sui tetti:
Cerca ognun di campare a spese tue,
E per uno che dan chiedono due.
Io mi son fatto un paio di stivaliChe rassembran due veste d'orinali.
La suola vi sta in lita col tomaio,
E quattro pezzi sono anzi che un paio.
E pure quel ladron del ciabattinoTre scudi vuol da me d'argento fino,
Dicendo che un pochetto di sconquassoNon è cosa da far tanto fracasso.
Dunque statti in Alban, Giacomo, e crediChe qui nulla cammina co' suoi piedi.
Basta il detto; ma innanzi ch'io suggelliPregoti riverirmi il Bassanelli;
E per me bacia il lembo delle gonneDi quelle quattro perle di tue donne,
Teresa, Chiara, Barbara e Cristina,
Degne d'andar in voce anche alla Cina.
E tu, o Terpandro dalle quattro cordeDa me t'abbi un amplesso ex toto corde.
Il tuo G. G. B.
LETTERA 312.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, venerdì 22 giugno 1838
Ore 5 pomeridianeCaro sor Padrone
Passando io questa mattina dal negozio di Lopez vi ho trovato la vostra lettera di mercoldì 20, lasciatami secondo l'indirizzo dall'amico Zampi.
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