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      Si sa che la nostra terra deve stare appoggiata a qualche cosa. Il toro poi si appoggia dove può, e tutto va in regola.
      Ah! quel costume di dare al tuo Gigio il sobriquet di Cuppetana mi fece saltar via dal capo il suo vero nome e la sua festa di ieri. Ne avrei fatta onorevol menzione nella mia N° 9. Ad ogni modo mille anni ed accetti il voto infra octavam.
      Bada dunque di non calcare il capo al serpente. Guardati attorno ne' tuoi passeggi. L'ipsa conteret caput tuum non fu detto per la suola delle nostre ciabatte.
      Qui non piove acqua ma raggi di fuoco. È da tre giorni un caldo sufficiente alla graticola del diacono S. Lorenzo.
      Ammiro Bassanelli e compiango Cristina: l'uno per togliere, l'altra per perdere il primo fregio di una testa femminile. Ma capelli e guai non mancano mai. Lo sanno pure la Signora Malta e la Signora Dorotea.
      I due plichi pel Vera mi giunsero; e se a te giunsero tutte le mie dal N° 4 al N° 9, ne avrai in alcuna d'esse avuto contezza.
      Orsola sta così così. La bambina dimani parte per Calvi colla balia.
      Ti dò tutti i saluti di tutti per tutti, e fra tutti fa' che valgano quelli del tuoBelli.
     
      P. S. Prima di casa Gobbi rivedo casa Pazzaglia. Saluti e saluti di maschi e femmine per femmine e maschi. Prenda ciascun la sua parte e l'intaschi. Vera non si vede. Se avrà voglia verrà, come si è d'intelligenza.
     
      LETTERA 313.
      A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, sabato 23 giugno 1838
      Ore 4 pomeridiane
     
      Così, mio caro Ferretti, la lettera tua di ieri 22 come il pacco libri ch'eravi annesso, mi sono giunti questa mattina.
      Il Triboulet, ossia Le Roi s'amuse di Victor Hugo mi è già altrettanto noto quanto io conoscevo prima d'ora la Lucrezia e la Maria. Trovandomi in mano queste due ultime allorché tu me le spedisti da Albano onde riporle nella tua biblioteca mi nacque il desiderio di confrontarle, cosa da me non mai praticata per averle lette in separati tempi, e con diverse disposizioni d'animo.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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