Casa Pazzaglia, non parente degli Zelli, riverisce e saluta. Gli amici riveriscono e salutano. Io saluto e riverisco Padre, madre, figliuole e figliuolo.
Il tuo G. G. Belli.
LETTERA 311.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, 27 giugno 1838
mercoledì ore 8 pomeridiane
Dal solito Triboulet di Mandrella mi si è ricapitata la tua di ieri con entro due letterine per tuo fratello, che io stesso ho lasciato in mano di Lopez. Costui teneva presso di sé una lettera (non so di chi) al tuo indirizzo: e così un giornale da inviarti. Ho io ritirato entrambe le cose e te le spedisco qui unite.
È comperata la pezza di fettuccia bianca inamidata e tesa dalle sorelle Piccirilli che salutano il Sig. Giacomo Ferretti.
I dettagli tuoi su Cristina e sulle tue angustie per lei mi stringono l'anima. Son padre anch'io e d'un cuor paterno non d'ultima qualità: quindi comprendo il tuo dolore e ne partecipo. Povero Ferretti! Quando avrai pace? Quando l'avremo?
Vidi Zampi ieri sera al caffè e lo avvisai della consegna da me fatta alla moglie della lettera che tu mi avevi compiegata per lui. Mi dimandò dello stato sanitario di tua famiglia; ma io, benché quasi persuaso che tu stesso gliene avrai scritto qualche cosa, purtuttavia legato dal segreto da te impostomene risposi irre orre come rispondo a tutti onde non mentire nec citra nec ultra dal vero.
E bisogna davvero badarci a quel lutin de ton fils. Di giorno in giorno i fanciulletti vengono imitando più e più i capriuoli inerpicandosi dove meglio ne viene il destro o la voglia: pericolosi in ciò più i maschi delle femmine, parendo quasi che la natura abbia destinato il nostro sesso alle temerarie imprese ed ai gesti d'ardire. Dunque, sì, badaci e facci badare; ma già questi consigli miei vengono superflui alle sollecitudini della paterna e amorosa tua vigilanza.
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