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      Non meno delle care e consolanti parole da te adoperate poteva io aspettare dal mio Ferretti nel giorno in cui tutti mi si rinnovarono i dolori della sofferta disgrazia. Io vedo che un anno è assai poco al ristabilimento della tranquillità. Né il tenor di vita che mi è forza menare saprebbe venire in soccorso del tempo onde cospirasse insieme alla mia pace. Molta fatica, moltissimi pensieri, gravi danni, infiniti pericoli si associano ad abbattere il mio spirito già per se stesso pusillanime e creato solo per la vita ritirata, uniforme, et procul negociis. La rilassante stagione fa il resto. Intanto io vo per la mia strada alla meglio, o alla peggio, determinandomi al mio dovere colle parole già si famigliari alla povera Mariuccia: su, a tirare il carrettone. Le ruote cigolano, le stanghe mi scorticano la pelle, il carico va cadendo di qua e di là per la via; ed io pur tiro finché arrivi a porta Leone.
      Ringrazio cordialmente il Dr. Bassanelli. Le nostre circostanze però, per quanto so di lui, diversificano alquanto benché esteriormente di ugual natura. Egli si rivolge indietro per timore di essere seguito, ed io mi rivolgo per desiderio di vedere chi più non vedrò. Se la favola d'Orfeo si potesse spiegare in due modi, a me converrebbe quello più compassionevole, quantunque poi solo io di noi due farei il viaggio dell'averno per ripigliarvi la compagna perduta. Queste considerazioni, forse poco delicate io diriggo a te. Il Bassanelli non sappia fuorché la mia riconoscenza alle sue cordialità.
      I Pazzi e le Pazze stan bene e al solito salutano. È tanto continua questa notizia che mi ristringo a dartela in poche parole. Ti basti sapere che tutto, e per tutto, è in regola.
      Orsolina va alzandosi di letto, ma le forze debbono venire da lontano. Le aspetta. - Ieri al giorno vidi Giobbe, e questa mattina D'Eramo.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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