Già conoscevo per fama il Ferrari e la sua sublime opera. Pare che adesso la natura si faccia giuoco dei prodigii e si compiaccia nel confondere le regole del suo consueto procedere. A 25 anni esser così maturi e di senno e di conoscenza di fatti! Sino ai 14 l'uomo suole esser pochissimo per se stesso, un punto matematico rispetto al mondo e alla società. E in undici anni saltare in groppa ai profondi filosofi sessagenarii! Leggerò avidamente quell'opera, ma la mia mente non è quella di Vico, né di Ferrari, né di Ferretti, né di Dandolo o Fava. Io ho uno spirito di corta portata e solo capace del pensiero fuggitivo. Lì vedo che, se avessi pace e ozio, potrei forse cavarmi fuori dagli ultimi. Alle vaste concezioni la mia vista intellettuale si perde: non le abbraccio.
Non so come Orsola viva ancora nella persuasione di vedere oggi Tilde. Dice Balestra averle sino dal 2 scritto il contrario. Tilde sta benissimo, ma verrà fuori col padre quando il padre potrà tornare in Albano: crederei a settimana inoltrata, cioè verso i dieci o in quel torno. Ciò mi pare dover conchiudere presso quanto ascolto qui in casa. Salutamela la buona Orsola, e così le eccellenti tue donne. E abbracciami Gigio. Di' mille cose ai dotti due veneti, ed ai dottori Bassanelli e Carbonarzi. Il pericolo di questi ultimi mi fa paura.
Tralascio di scrivere perché vado in sudore di debolezza.
Sono il tuo Belli.
LETTERA 338.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, martedì 7 agosto 1838 (ore 7 antimeridiane)
Giorno di S. Gaetano padre della provvidenza. Utinam!
A due lettere rispondo, mio caro Ferretti, a quella cioè che mi scrivesti la sera del 5 e all'altra inviatami jeri avuta da me jeri sera ad ora inoltrata.
Sono dunque spianate le Mazio-Balestrarie ossieno Orsolangiolesche difficoltà, e dissipati i dubbii sul viaggio paterfiliale.
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