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      Laus Deo animabus purgantibus. Io pure ho preso tre purganti, eppure? Eppure me ne sto come avessi sorbito tre tazze di bollitura di nespole e di tasso-bardasso. Ma seguitiamo il riscontro ordinato della corrispondenza, senza divagarci in quisquilie.
      Non so qual figura avrei fatto a mensa fra voi altri sei (che potete pisciare in ogni neve) in ispezialità ragionando d'arti, così a me familiari come la modestia a un lombardo soldato della sgiaffa. Mi sarebbe toccato il pisciar nel vaglio, ad esempio della buona memoria di Boccanera allorché volle metter zizzania tra gli ellèno-quiriti. E bene mi avveggo esserti in quel pranzo caricato d'idee artistiche sino alle meningi e al ponte del Varolio, dappoiché, scrivendo su tal soggetto a me povera pulce, adoperasti la tecnica voce piramidare, la quale insieme coll'altra (non meno uficiale) del prosciugato ascoltasi tuttodì per gli 10.000 studi di questa metropoli delle arti. Vi avrei dunque piramidato? Sì, come piradava il Sig. Frediani sulla piramide di Cheope allorché ne scriveva lettere a mamma Europa, condite qua e là di sciarade, logogrifi, bifronti, omonimi, e fredianesche. Io posso farmi lecito appena di dar sulla voce a chi si attenti di entrare in filologia popolana. Lì poi, sia detto con santa umiltà, me la stigno sino col Sig. Bernieri di pseudoromanesca memoria. Sul resto faccio moccin-moccino, troppo fortunato dell'essermi rimasta sufficiente memoria da ricordarmi del Sutor etc. Arti io? Al più al più quella del suolachianelle.
      Ho veduto in di lui casa questa mattina il nostro buono avvocato Pippo Ricci, ricevendone Scudo uno a pro di Annamaria. Egli parte dimani per Diosadove; e nell'angustia del tempo dice non essergli riuscito raccapezzare di più.
      Mi dirai dunque de mandato uxoris tuae in quante parti e in quanto tempo dovrò spingere quel colonnato nelle fauci della povera madre di Peppe.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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