E fra quelli anche alle balestre; e non aver paura, ché non le sono armi da fuoco. Spara e fuggi.
E facendovi qui duemila inchiniDavanti a voi la berretta mi cavo
E in tutto quello che non sian quattriniMi vi offerisco, e vi rimango schiavo.
Il tuo bietolifero Belli.
LETTERA 342.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, sabato 11 agosto 1838
(ore 8 antimeridiane)
Dalla destra del Balestra
Ritornato al Campidoglio
Mio Ferretti, ebbi il pacchettoCon due libri e con un foglio.
Al giornale degli Abruzzi,
Sia che odori o sia che puzzi,
Non darò certo di naso;
Ma però sii persuasoChe il bel Canto, ahi troppo breve!,
Sul gran giorno in para sceveCuor, cervello e tutti i visceri
Già mi scosse e confortò.
Da quel Dandolo e quel Fava
Gentil coppia onesta e brava,
Nulla mai che non sia belloE pel cuore e pel cervello
Fra le scienze e fra le lettereNé si fe' né si lodò.
Quella è gente che non amaDi dar vita o di dar fama
A poetiche quisquilie,
Ad ampolle e rococò.
Evviva Maria
E chi la creò.
Ed oh quanto t'invidio, o mio carissimo Giacomo, del tuo desinare oggi con que' fiori di gentilezza! perché io sempre ho pensato e sempre ho trovato vero niuna gioia tanto soave scendere all'anima quanto quella che si suscita a mensa fra cari parenti o fra amici affettuosi, culti e modesti. Allora il cibo va in tutto sangue e la bevanda in buon'umore e in consolazione innocente. Due giorni invidiabili passerai tu dunque o Ferretti. Uno oggi presso il Conte Dandolo: l'altro dimani fra le tue mura domestiche, celebrando l'onomastico della seconda figliuola, per cui dovresti andar padre superbo quando anche tu non avessi le altre due, ciascuna delle quali potrebbe formare la gloria di una famiglia. E non istarmi a dire: Belli si è messo a far l'adulatore. No, lo so anch'io quando c'entra; e tu sai s'io so dare della scimmia e della sciuerta a chi meriti d'essere proverbiata.
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