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      Ciro delineò una figura e poi si accinse al calcolo. A mezzo della operazione saltò fuori un ingegnere ad arrestarlo chiamando erroneo quel calcolo. Ciro lo lasciò parlare, e quando colui ebbe finito gli rispose: Mi pare che il Signore prenda equivoco. La mia dimostrazione risponde benissimo alla dimanda che mi è stata fatta. Io debbo occuparmi della rifrazione della luce, ed ella pare voglia parlare della sfericità della terra. Mi lasci prima terminare il mio calcolo, e poi colla stessa figura dimostrerò il secondo suo caso. E così accadde. L'uditorio rimunerò Ciro con un applauso. - E avete, amici miei cari, da notare che quel secondo caso neppure era compreso nell'indice de' capitoli ai quali i due Convittori eransi obbligati di dar risposta. - Finito il saggio tutti i maestri, i Superiori e qualche altro astante andarono a rallegrarsi con Ciro perché senza suo sgomento avesse mortificato il Sig. ingegnere, o ignorante, se corresse in buona fede, o maligno se fu suo scopo il confondere uno studente. La Città intiera attribuisce però al Sig. ingegnere entrambe le qualità. - Sembra dunque non esser Ciro sì addietro nell'arte del calcolo. Ebbene, indovinatela un po', amici miei. Questo piccolo Matematico in erba va spiegando invece inclinazioni all'avvocatura. Dice che gli autori di eloquenza gli piacciono assai. Ma, Ciro mio (io gli dimando) sarai poi forte nel latino, nelle lettere e nell'arte oratoria? Egli mi risponde: Non dubitate Papà. - Iddio lo voglia. Ma che al successo avessimo poi ad ingannarci! Basta, intanto tiriamo innanzi sulle due vie, e quindi vedremo. - In tutti i casi una cosa non pregiudicherà l'altra.
      Io partirò di qui lunedì o martedì: mi tratterrò in Terni una coppia o un terzetto di giorni, e poi m'incamminerò verso Romaccia, dove, se non ci foste voi due e pochi altri, mi parrebbe andare in galera.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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