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      No, Ciro mio: gli atti isolati della mente, cioè la sola attenzione dello spirito ad esercizii indipendenti dalle emozioni del cuore, potranno farsi impedimento concepibile ad una serie contemporanea di altri atti mentali; ma non è ragionevole il dire che chi molto pensa e molto studia non possa insieme amare molto. Queste riflessioni io te le faccio accademicamente, o mio Ciro, e senza il benché minimo talento di mostrartimi offeso delle tue parole. Queste non portan seco fuorché una poco avvertita semplicità di esprimersi; ed altronde io n'ho prove non dubbie della tua tenerezza pel tuo Papà. Volli soltanto entrare a trattenerti su questo particolare, e sminuzzarlo anche un po' al di là del bisogno, pel desiderio ch'io nudro che tu ti avvezzi ad argomentar bene per divenire capace di retti raziocinii. Io ti ripeto, ho sorriso del mio filosofetto, e non altro (1). Circa all'amarmi, già mi avevi detto più sopra essere io l'unico oggetto del tuo amore su questa terra. Eppure ti voglio dar guai anche su questo. Invece di unico oggetto tu avresti dovuto dir primo; e così la faccenda camminava colle sue gambe. E che! Non hai forse altri oggetti da amare e riverire? E i tuoi Superiori? E i Maestri? e tanti altri che si mostrano sì premurosi di te? - Io dunque primo, ché lo vogliono Iddio e la natura, ma non unico. Dopo di me e poco dopo di me, deve seguire una schiera di oggetti degni dell'amor tuo. Tu dirai forse oggi: oh come è sottile, come è rigoroso Papà. No, Ciro mio: ti voglio associare sempre più a' miei principii e farti un ometto. Non ti debbo parlar più come si parla ai fanciulli. Sei filosofo! Dunque fa' da filosofo.
      Lo vedi Ciro mio, che i tuoi nuovi studi son belli? Lo hai finalmente compreso per esperienza. Io te lo aveva predetto. Ecco che non t'inganno; e così sarà sempre.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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