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      Ciro stesso, che udì la tua lettera colle mie note, si prende parte del tuo e del mio rammarico.
      Viva dunque la faccia dell'aria di Castel Gandolfo, e il Ciel benedica i buoni servi di Dio che te la vanno a cacciar ne' polmoni a fin di bene! Se a' tempi di Monna Berta il lago di Nemi somigliava in salubrità quello feudale di Monsignor Maggiordomo, non so come il Signor Don Tiberio non viaggiasse alla palude stigia prima della benedett'anima di Tigellino. Oh Barôni ci ha dato! Avrà forse da scontare qualche bistorinata in falso de' primi anni del suo tirocinio. - Vedi potenza della rima! Tirocinio mi ha ricordato esterminio, e sterminio è proprio la parola che ricorda l'Accademia tiberina, alla quale temo non abbiam presto da appiccare il requiescat. Quell'instituto fa acqua da tutte le parti come la meta-sudante. Ci voglion altro che zeppe, e i fulcri del R. P. Manzotti! L'è faccenda da carriole della Beneficenza per ispazzar via le macerie. Povero Zampi! Ha buone spalle, ma nemmeno Sansone reggerebbe più quello sfasciume. Buon per noi che ancor mangian cavoli e capatura di lattughe i due baccalari Gaspero e Gasperone, con que' loro rutti di pecoroni indigesti. Il Tiberino è il marito della Tiberina, e naturalmente aiuta la sposa. Tutt'è a vedersi chi de' due conjugi resterà vedovo. Io non sono il Casamia, né il Barbanera, né il filosofo Astrini, né lo Spacoccio di Rieti; ma pure, da certe quadrature di cielo prevedo che se qualche P. G. R. nol soccorre, per Dio lo stirar delle cuoia toccherà al maschio. E con ciò Crèpsilon parola greca.
      Tancioni ti saluta. Gli ho tenuto proposito e sproposito intorno al concorso lauretano. Sta aspettando il programma sulle gazzette.
      Ciro ha del tuo non uno ma due libri di musica. Ripeto gli ha seco: ed io li riporterò meco perché ritornino teco.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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