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      Farò altrettanto con Biscontini. - Addio, cara Amalia: ti augura lunga vita, molta gloria e perfetta pace il tuo aff.mo amicoG. G. Belli
     
      LETTERA 420.
      A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, 8 maggio 1841
      Ciro mioParmi ora, alfine, di riscontrare la tua cara lettera del 24 aprile, del cui ricevimento non ti ho fino ad oggi dato altro cenno fuorché le parole che ti feci dire in mio nome dal Sig. Giuseppe Serafini.
      Aveva io già preveduto la tua piacevole sorpresa all'improvvisa comparsa del R.mo Can. Tizzani in codesto Collegio; né mi era pura sfuggita la probabilità del mancarti agio di ringraziarlo per le sue premure in nostro favore. Naturalmente leggesti la mia lettera dopo che ti ebbe egli lasciato. Ma dici benissimo: lo ringrazierai a Roma.
      I di lui buoni uficii non hanno ancora ottenuto alcun successo; ma questa è colpa delle circostanze; e a lui resta tutto intiero il merito di averli praticati e di seguitare a praticarli. Deus et tempora.
      Egli mi ha scritto e mi ha parlato bene di te. Un elogio dalla sua bocca onora non poco, essendo egli pieno d'intelligenza e di rettitudine. Ciò peraltro non deve invanirti. Le buone doti ci vengono da Dio, e a Dio dobbiamo riportarle monde del peccato della superbia. Se tu bene operi, osservi giustizia, che è debito d'ogni uomo. La lode, dolcissimo compenso delle rette azioni, non deve gonfiarci l'animo, ma sì rinvigorirlo perché si mantenga sulla via del bene, a costo anche dei rammarichi e travagli che suole spesso fruttarci l'esercizio della virtù. Il solo orgoglio basta a paralizzare e distruggere il merito di mille belle qualità del nostro cuore, perché l'uomo superbo e vanaglorioso vuol comandare alla opinione de' suoi fratelli, ed esige un ossequio che allora è giusto e vero quando è spontaneo. E se il concetto di noi comincia da noi, resta in noi né passa più ad altri, o, se ci passa, va confuso col ridicolo e col disprezzo per ritornare a noi colla simulazione e colla menzogna.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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