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      Sii felice, o cara donna, quanto lo meriti e quanto te lo desidera la mia sincera amicizia. Vorrei trovarmi presso l'altare ad esser testimonio del principio della tua felicità; ma non posso. Un'altra volta mi dirai il nome e cognome del tuo sposo, che abbraccerai per me.
      Non posso rispondere una parola alla tua fervida lettera del 21 aprile. 398 versi in un foglio di carta! Povera posta!
      E tanti tanti saluti alla tua Mamma ed alla mia appetitosa appiccicarella. Sono sempre il tuo amico e servitore aff.moG. G. Belli
     
      La idea di scrivere il Sarto mi fu suggerita da un giornale francese. Gli ho poi dato la compagnia del parrucchiere, il quale cospira con esso alla umana felicità.
      Gentilissima amica. La bestia che io sono! Prima di suggellar la lettera ho voluto inzepparmi quattro altre parole senza por mente che nel posto in cui le scriveva sarebbero rimaste allo scoperto. Ed io che mi era vantato dello aver scritto tanto in un foglio! e ne aveva compatita la posta! Questo ufficio di tasse deve avere in cielo qualche nume vendicativo, il quale è forse Mercurio, o alcun suo commesso di studio. Il danno è però che io feci il male e a te toccherà la penitenza, secondo la solita giustizia di questo mondo. Veramente il rimedio l'avrei avuto bello e pronto: affrancar la lettera, e buona notte. Ma mi avresti tu poi menato buono che io ti avessi creduta tanto taccagna da risparmiarti qualche soldo di più per renderti indulgente alla mia storditaggine? Io penso che la tua indulgenza non è merce da comperarsi a baiocchi. Credo dunque delicatezza il farti pagare gli spropositi miei. La compensazione l'hai ovvia e facilissima. Una lettera eterna.
      La tua carriera drammatica non poteva finire altrimenti che con un trionfo corrispondente alla tua eccellenza in quell'arte utile e nobile. Però non ti si udrà più, e questo è un malanno per chi ha gli orecchi.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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