Che son tre perle incastonate in oro,
Vi recan la fortuna per la briglia.
Credereste più pace e più decoro.
Giorni più lieti e benedetti avereSe pur foste Decano in Concistoro?
O parvi forse che maggior piacereVi prendesse a bear l'anima onesta
In quel dì che vi fecer cavaliere?
Però niun pensi ch'io mi covi in testaLa matta idea che tutto a me dobbiate
Quanto godeste e da goder vi resta.
Io vi parlai siccome un prete o un frate,
Che insegni che quel santo sagramentoNon di morsi è palestra, e di ceffate.
D'ambo voi dunque il natural talentoFu origin vera di sì bel riposo:
Vi porsi io l'uno, e voi compieste il cento.
Oggi che il mondo è un bosco pauroso,
Pieno tutto d'insidie e di mal passi,
Che qui mandaci a sghembo, e lì a ritroso;
Ove alla cieca e alla ventura vassiFra l'ombre, i marci tronchi, e gli acquitrini,
E i fitti dumi, e gli sterponi e i sassi,
Se coi guasti e gl'imbrogli cittadiniSi accoppian le domestiche brutture,
Che ne sarà degli uomini tapini?
Basta ben delle pubbliche sciagure,
Senza piantar nel proprio nido i germi,
Di nuovi danni, e di più acerbe cure.
Simile allora a uno spedal d'infermiLa dolce casa che ci accoglie in terra
Si fa albergo di piaghe, e puzzo, e vermi.
Corrano i tristi a travagliarsi in guerra,
E noi tenghiamci più beato e caroL'asil che noi, co' nostri figli serra.
Di ricchezze altri sia cupido e avaroNoi della pace interna e dell'onore;
Cui niun tesor può mai venire a paro.
Meglio giova la stima che l'amoreA farne acquisto; e guai se negli affetti
Tace la mente quando parla il cuore
Questi miei sensi voglio avervi detti,
Per mostrar quanto voi siate feliceE quanta ancor felicità vi aspetti.
Ché se il futuro penetrar mi lice,
Veggo ne' figli vostri un apparecchioDa darvene l'aggiunta e l'appendice.
Or poi vi piaccia che un amico vecchio,
Dopo avervi sin qui solleticato,
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Decano Concistoro
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