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      Passi a tirarvi un pocolin l'orecchio.
     
      Che buon voi siete, lo attesta il curato,
      E con lui tutti, ma ben io conoscoFra le vostre virtù, pure un peccato.
     
      Per carità, non mi guardate losco:
      È un peccatuccio, il so, ma tuttaviaStende sul fondo chiaro un velo fosco.
     
      Io vo' dir della strana bizzaria,
      Da credervi malato tutto l'annoE cader tratto-tratto in agonia.
     
      Non lo capite voi di quale affannoCagion vi fate ai figli, alla mogliera
      E a tutti quelli che attorno vi stanno?
     
      Perché mai questa ubbia, questa chimeraDi vedervi arrivar la morte accanto
      Ogni mattina, appunto, ed ogni sera?
     
      Che se il dottore vi badasse intanto,
      Certo oggimai sul vostro corpo avresteConsumato una botte d'oliosanto.
     
      Non vi ha tifo, non canchero, non peste,
      Non v'ha febbre apopletica o malignaChe ad assalirvi non vi pajan preste.
     
      Ora aspettate il flusso, ora la tigna,
      Ora il collo scavezzo, o l'ossa rotte,
      Or chiedete il purgante, or la sanguigna.
     
      Chiamate il confessore a mezzanotte,
      E svegliereste il povero Piovano
      Per mali di zibibbo e melacotte.
     
      Poi starvi tutto dì col polso in mano?
      E specchiarvi la lingua ogni minuto!
      E pensar sempre al ventre e al deretano!
     
      Oggi: il fiato è cattivo, oggi lo sputo:
      Quando eccede il sudor, quando l'orina:
      Mo il badiglio è mortal, mo lo starnuto...
     
      Ser Lippo, la faccenda non cammina:
      Troppo voi tribolate vostra moglieE Checcuccio e Nannetta e Alessandrina.
     
      Mutate vezzo, e se talor v'incoglieGuizzo di nervi o stomacal fummea,
      Sappiate che la vita non vi toglie.
     
      Non ammazza uno spruzzol di diarrea;
      Non è un fulmine un flato che vien fora,
      Un singhiozzo, ser Lippo, è una miscea.
     
      Son quarant'anni che morite a ogni ora;
      E in otto lustri dopo tante morti,
      Per quanto io sappia, siete vivo ancora.
     
      Siavi questo il pensier che vi conforti,
      Che quando morivate a volta a volta,
      Vel giuro in Dio, non ce ne siamo accorti.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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